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Bocciato dal giudice il prestito infruttifero alla controllata

La holding non può aggirare il tetto allo sgravio entro il 30% del Rol
È illegittima, in quanto antieconomica, la decisione di finanziare una società controllata attraverso la concessione di un prestito infruttifero, se questa operazione è tale da determinare lo spostamento arbitrario della deducibilità fiscale degli interessi passivi dedotti a livello gruppo. È questo il principio di diritto enunciato dalla Ctp Vicenza nella sentenza 76/02/2018 (presidente Tomaselli, relatore Mauro).
Nel caso in esame, l’agenzia delle Entrate di Vicenza rilevava, nel bilancio di una società, l’esistenza di finanziamenti a favore di una controllata aventi la natura di prestiti infruttiferi, concessi utilizzando le disponibilità finanziarie ottenute da istituti di credito, il cui costo per gli interessi passivi veniva interamente dedotto dalla controllante ex articolo 96 del Tuir (in quanto non eccedente il 30% del Rol). Viceversa, la società controllata (e finanziata), presentando un elevato grado di indebitamento, non avrebbe potuto dedurre il costo relativo agli interessi passivi, e ne aveva anzi già rinviato eccedenza agli anni successivi. Ragione per cui l’ufficio recuperava a tassazione in capo alla controllante il costo degli interessi passivi.
La società proponeva ricorso al giudice tributario e sottolineava la sussistenza di un effettivo interesse economico alla concessione del prestito alla propria controllata e la legittimità del proprio comportamento. A riprova di ciò, veniva ribadito che, nell’ambito del consolidato fiscale, è espressamente prevista la possibilità di dedurre gli interessi passivi connessi al finanziamento della controllata entro i limiti del risultato operativo lordo non sfruttato dalla controllante. Inoltre, se avesse contratto direttamente i prestiti concessi dagli istituti finanziari, la controllata avrebbe comunque potuto portare in deduzione gli interessi passivi nelle annualità successive rispetto a quelle accertate.
Il collegio giudicante ha respinto il ricorso della società. In particolare, nell’aderire al filone interpretativo che riconosce al Fisco la possibilità di sindacare l’antieconomicità dei comportamenti tenuti dal contribuente (Cassazione 10802/2002), è stato osservato che, nel caso specifico, l’operazione di finanziamento a catena aveva determinato un arbitraggio fiscale, avendo spostato l’onere degli interessi passivi da una società con Rol incapiente (la controllata) a una società con Rol capiente (la controllante).
In questo modo, stante anche la mancata adesione al consolidato fiscale, la società verificata aveva potuto dedurre una posta passiva che, altrimenti, non sarebbe stata immediatamente deducibile. Questo comportamento, infatti, costituiva un mero spostamento di materia imponibile da una società all’altra in funzione della sola volontà di minimizzare il carico fiscale, così come dimostrato dall’assenza di valide ragioni economiche e, in particolare, dalla mancata dimostrazione da parte della società verificata della sussistenza di un effettivo interesse economico a livello di gruppo alla decisione di voler erogare il prestito infruttifero alla propria controllata.
Marco Nessi
Roberto Torelli
Fonte: Il Sole 24 Ore
« Fattura elettronica carburanti: approvato al Senato il decreto con la proroga
Scadenze liquidazioni IVA periodiche e spesometro »

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